Siamo al terzo giorno di questa mia prima avventura. La strada fin da subito si presenta particolarmente sconnessa e tutto attorno le montagne sembrano stringersi attorno a me con i suoi numerosi tornanti che non mi permettono di vedere quello che mi aspetta pochi metri davanti a me. Mi guardo attorno, ed a ogni metro che percorro mi aspetta una nuova scoperta. Il cuore vista l’altitudine batte molto forte pur cercando di mantenere un ritmo costante e senza esagerare. Anche il semplice gesto di sorseggiare un goccio di acqua dalla borraccia mi porta ad un “fuori giri” del cuore. Le soste che il più delle volte mi creavano disagio visto che mancavano le possibilità di appoggiare la bici e dunque doverla sostenere con la gamba. Mi trovo a circa 4.000 metri e ciò mi porta a pensare che le vette che ho attorno a me superano abbondantemente i 5.000 metri. Maestose, alte, impervie, colorate. L’unica compagnia sono i miei pensieri ed il rumore delle ruote che metro dopo metro scorrono sulla strada. La strada sale ad una pendenza media del 4 / 5 % attraverso tornanti che sembrano infiniti, tornanti che ogni tanto mi offrono una visuale di una cima a qualche chilometri con l’illusione di essere arrivato ma che una volta raggiunta te ne presenta una ancora più alta qualche chilometro più avanti. La vegetazione è un miraggio già da alcuni giorni, l’ambiente è più lunare che terrestre. Le cime, anche se unite l’una all’altra, hanno caratteristiche completamente diverse una all’altra, per conformazione e colore. La maglia invernale mi ripara dal forte vento, complice della temperatura che pian piano si sta alzando. Mi trovo al termine di una curva, quando ad un tratto alla mia destra, mi appare un lago dall’aspetto insolito. Mi fermo, controllo tra le mie scartoffie e scopro che si tratta del lago Suraj Tal, una superficie piattissima, perfettamente incastonata tra la neve che a quell’altitudine non si scioglie mai e che rispecchia quasi con indifferenza le cime candide tutte intorno. L’acqua ha infinite tonalità di verde, azzurro e blu. Impossibile proseguire, voglio filmare e fotografare questo spettacolo della natura a 4.890 metri. Stanchezza, suggestione dei luoghi, lontananza dalla famiglia, solitudine, un bombardamento di sensazioni. Lacrime che mi strappano un sorriso, mi riportano alla realtà e di quello che stavo realizzando. Concentrato sui pedali e sul fondo ghiaioso, quando meno me lo aspetto, a meno di venti metri da me vedo il cartello con il nome della vetta, il Baralacha La. Sono arrivato! Ci sono riuscito! Il primo traguardo della spedizione è stato raggiunto. Scoppio in un pianto liberatorio e ricevo i complimenti di alcuni turisti increduli arrivati fin lassù con la jeep, pochi, anzi, nessuno in quel momento lo aveva raggiunto in bici. Non rimango tanto tempo, sia per la temperatura che per la strada ancora da percorrere, che con molta probabilità, sarà gran parte in discesa. Saluto le persone presenti (pochissime) e riparto per raggiungere l’arrivo di tappa della giornata, esausto ma con il cuore pieno d’orgoglio per essere arrivati a cinquemila metri.
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